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TAM
TAM GHIONI |
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Libro: TAM TAM
GHIONI in collaborazione
con Giovanni di Marzinis - Mario Tellini
Grafica Federico Editrice - Brescia 1°
Edizione 1971
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SOGNI E
SOFFERENZE |
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L'UOMO SOLO |
Solo
mi ritrovai nella fonda
notte
e brillavano le stelle
gelide
inarrivabili e lontane
perdute
come anime umane
baluginanti
nel cielo immane
e l'urlo mi salì
forte
spasimo dolore malasorte
poichè ero solo solo
abbandonato
egualmente alla vita o alla morte
come un burattino
anonimo
nella confusa sorte
e allora urlai folle urlai
come un cane nella lunga paurosa
notte.
M.T. |
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Sono
considerato un testardo e in realtà lo sono
ma ciò è dovuto in buona parte alle
sofferenze che ho incontrato durante la mia
vita, vissuta intensamente: ho conosciuto la
fame, le umiliazioni, le privazioni. Da
ragazzino per aiutare in qualche maniera
anche modesta i miei genitori andavo per
torrenti e fossi gelati a pescare pesci e
rane e poi per i campi avari già setacciati
profondamente dai contadini e dalle mandrie
per vedere se eran rimaste patate, rape,
cicorie; poi, più avanti, ho fatto lavori
dove corpo e muscoli sono impegnati sino
allo spasimo e a volte mi pareva di non
riuscire più a sopportare la fatica;
ma io testardo tiravo aventi e sognavo. Sì
sognavo; a me piace guardare le cose del
mondo e non posso rimanere insensibile
davanti a un bambino mentre ruzza, a un
tramonto dorato e di fiamma, ai fiori che
palpitano di colori, alle stelle che vibrano
alte e perdute nel cielo infinito.....
A Roma poi ho
fatto il cavatore di pietra, lo scalpellino,
ho usato la dinamite facendomi assordare
dalle esplosioni e infine usufruendo del mio
corpo collaudato il generico acrobata
cinematografico e naturalmente anche il
pittore, l'artista bohémien...
Forse è in quel
periodo che ho iniziato a sognare un
qualcosa di diverso dalla solita routine.
Lavorando in
vari film sono venuto a contatto con quel
falso, gretto mondo dello spettacolo,
materialista ed edonista, amorale e
politicamente estremista ma in genere solo
per interesse, posa, soluzione pseudo
intelletualistica di maniera; ma nel
contempo frequentavo, nei giorni liberi e la
sera, gli artisti della capitale: italiani e
stranieri, dotati di talento o
insignificanti.. pittori, scultori, poeti,
sognatori, utopisti tutti accomunati dalla
grande passione che li bruciava
interiormente e naturalmente tutti avevano
in comune la quasi assoluta mancanza di
mezzi economici e molte volte il pasto
consisteva in una fetta di pane raffermo
reso più odoroso con una strofinatina di
aglio; nei giorni di benessere maggiore
faceva la comparsa pane, mortadella,
pancetta e magari qualche sorsata di vino;
ma naturalmente le discussioni su ciò che un
vero artista deve saper esprimere eran vive,
polemiche, pregne di contenuto filosofico ed
estetico e i riferimenti all'impressionismo,
espressionismo, privitismo, dadaismo,
surrealismo, futurismo, cubismo, astrattismo
e naïf erano d'obbligo.
Tra gli artisti
faceva spicco un tipo singolare, poeta,
suonatore molto bravo di tromba, utopista e
sognatore; americano si dichiarava però
cittadino del mondo, anzi dell'universo, e
non poneva limiti al potere della mente
umana e sosteneva che l'arte diventa tale
solamente quando l'uomo che la rappresenta
ha sofferto molto e profondamente. "Sogna
amico Barbarossa - mi diceva in vena di
confidenze - ma ricorda di far sognare la
gente con te, se vuoi essere un artista. E
abbi coraggio, come un eroe di guerra, abbi
fede come un santo che cammini nella via di
Dio; soffri, soffri per le condizioni
quotidiane della vita e per le tue
concezioni artistiche e così potrai
spirituallizarti e vincere sicuramente ogni
ostacolo..." Questo strano
personaggio viveva di elemosina suonando per
le osterie e quando riceveva il suo solito
assegno dall'America si recava al Tevere e
lo stracciava gettandolo nelle acque senza
rimpianto.
Ed è in quelle
condizioni di estremo disagio che ho poco
alla volta maturato il mio intimo modo di
sentire artistico affinando la mia
sensibilità di pittore cercando di cogliere
l'essenza della vita, dei momenti umani, di
stringere qualcosa che urgeva dentro di me e
mi pressava. Ho avuto in quei giorni di fame
e di miseria l'intuizione di costruire una
pittura veloce, svelta, essenziale, un pò
naïf con colori base, staccata dalla
consuetudine accademica.
Era il 1960;
nel 1957 col lancio dello Sputnik iniziò la
gara spaziale tra Russia e America; una gara
tecnologica volta al futuro per la quale
però ho sentito immediatamente una
avversione e una ostilità fortissima. Certo,
l'uomo è un fenomeno complesso, ha problemi
di vita e di morte, biologici e filosofici,
ha esigenze , necessità, slanci, generosità,
meschinità, odio, amore, illusioni; l'uomo è
insieme la più perfetta e la più imperfetta
macchina operante nell'universo ma rimane
sempre, per me, il vero fulcro motore d'ogni
cosa; l'uomo è un accanito fanatico
sognatore, un costruttore di miti e nel suo
perenne stato d'inferiorità dimensionale e
di inquietudine vuol conquistare mete sempre
più ambite e difficili. Sì, Wernher von
Braun è un sognatore e lo è anche l'uomo che
si lascia lanciare nello spazio usufruendo
di un mezzo nato da uno sforzo collettivo
immane, vero mostro moderno puramente
tecnico; ma il sogno di questi uomini spezza
a mio avviso una dimensione umana vera e
propria o almeno la coarta facendone forse
inconsciamente una macchina sì d'alto valore
scientifico ma però di basso valore
spirituale e morale. Infatti nei voli
spaziali ogni cosa è prevista, calcolata,
provata, riprovata, memorializzata dai
cervelli elettronici e così l'uomo diventa
semplicemente un robot, una macchina al
servizio di altre macchine e poco alla volta
finisce per trovarsi prigioniero senza
scampo di un meccanismo da lui stesso
voluto...
Naturalmente
non voglio negare il progresso tecnologico
dovuto ai voli spaziali; ma io questo
progresso esasperatamente tecnologico lo
temo come riduttore delle vie spirituali del
resto già fagocitate lentamente dal mondo
moderno; altra cosa erano i sogni e i
progetti di Hermann Ganswindt, Konstantin
Eduardovic Ziolkowsky, Robert Hutchins
Goddard, Hermann Oberth, Max Valier, Fritz
von Opel, Rolf Engel, Rudolf Nebel, Klaus
Riedel, Johannes Winkler, Eugen Sänger,
Helmut von Zborowski, Irene Bredt, Werner
Singelmann e Wernher von Braun..; altra cosa
nei confronti delle attuali straordinarie
conquiste spaziali e riferendomi al gruppo
di studiosi tedeschi posso considerarli dei
sognatori sino alle loro realizzazioni
belliche. In un certo qual modo posso dire
d'essere un continuatore delle teorie di
Jean Jacques Rousseau, il philosophe
ginevrino, secondo le quali "l'uomo è per
natura buono, ed è reso cattivo soltanto
dalle istituzioni" considerando inoltre
negative agli effetti di benefici
all'umanità arte e scienza.
Ed è stato in
quel periodo che è nata in me l'idea di
prestarmi alla fondazione di un gruppo
artistico a carattere internazionale il
quale potesse lanciare un messaggio di fede
umana, di una fusione spirituale nell'arte
come momento di superamento del tecnicismo
fine a se stesso e delle arbitrarie barriere
politiche, sociali, di razza e di
nazionalità; pensavo e penso ancora che
possa esser l'Arte il veicolo primo per
migliorare il mondo.. forse la mia è una
concezione utopistica, da sognatore, una
pura illusione ma che comunque non può fare
del male. Rimaneva da sceglier il mezzo per
render nota l'idea: un giornale d'Arte, un
manifesto collettivo, un messaggio alle
nazioni e agli uomini politici? Non ero
convinto, ci voleva qualcosa di più forte,
di maggior impegno, qualcosa che
superasse la facile contestazione politica
affermando una contestazione etica. E così
mentre il mondo stava attraversando crisi su
crisi avanzando però enormemente sulla
strada del tecnicismo, malgrado la fame e la
miseria ancora diffusa, incominciai a
pensare ad una impresa particolare: cioè
compiere un lungo viaggio in Africa con un
mezzo insolito e apparentemente
insufficiente. Un viaggio naturalmente
difficile ma durante il quale avrei potuto
portare il mio messaggio di fede e, alla mia
maniera, protestare contro l'esasperazione
tecnicistica: pensavo che il mio sacrificio
sarebbe stato utile all'uomo o, in ultima
analisi, a me stesso. E presi spunto
dall'immortale opera di Verdi per dare una
sigla alla mia unione artistica: AIDA
cioè ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DEGLI
ARTISTI.
Poi lascia
l'idea dentro di me a lievitare; il tempo
l'avrebbe resa valida o meno.
Ma questo
viaggio ideale non si staccava dalla mai
mente e anzi prendeva maggior forza; pensai
anche nel contempo di compiere un dovuto
pellegrinaggio visitando i molti luoghi di
sepoltura dei Caduti Italiani in terra
d'Africa.
Ritornato a
Brescia per stare più vicino a miei genitori
conobbi Mario Tellini col quale strinsi
immediatamente amicizia; attore e stunt-man
mi fece lavorare con lui in una serie di
telefilm d'avventura per la televisione
francese, poi mi presentò ad Angio Zane il
quale mi utilizzò nei suoi teatri di Salò in
numerosi Caroselli.
Ben presto
presi a parlare del mio progetto con Mario
Tellini, ma l'amico mi sconsigliò, discusse,
s'arrabbiò, ma la mia decisione era
irrevocabile: Africa. Era giunto intanto il
1966 e incominciai a stendere i dettagli del
mio avventuroso viaggio; Mario Tellini pensò
di farmi avere aiuti economici tramite
determinate ditte ma io rifiutai nettamente
poiché volevo farcela con le mie sole forze
e traendo i mezzi di sostentamento dalla
pittura; da parte dei colleghi pittori non
ebbi molta comprensione ma ciò m'importava
relativamente. Comunque mi furono moralmente
e affettuosamente vicini gli amici Elio
Barucco, giornalista; Carmelo Crisafulli,
pittore; Giulio Mottinelli, pittore; Mario
Tellini, attore stunt-man. Doloroso
naturalmente dire ai miei genitori della
decisione maturata; ma alle argomentazioni
che accampai risposero col loro grande
affetto assegnandomi fiducia e stima, anzi
poi orgogliosi che un loro figlio andasse in
Africa a gettare un messaggio d'amore. In
quel periodo la stampa scoprì le mie
intenzioni e mi dedicò qualche colonna di
piombo.
Incominciai a
sbrigare le innumerevoli pratiche
burocratiche le quali non risultarono a
volte di semplice soluzione ma trovai
affettuosi aiuti ovunque.
E infine scelsi
il mio mezzo di trasporto: un motofurgone
Gerosa di 48 c.c. e l'idea di compiere
un lungo viaggio attraverso l'Africa usando
un mezzo di trasporto minimo ed economico è
nata in me gradualmente, poco alla volta,
direi quasi insensibilmente gonfiandosi
nella mente e nello spirito. L'Africa ha
sempre costituito una attrattiva formidabile
per l'uomo; e certamente oggi che la
conquista della luna ha avuto successo, un
viaggio in Africa anche se compiuto con un
mezzo insolito e non appropriato può
apparire modesto e senza rilevo e forse di
nessuna attualità, ma ciò non è vero
assolutamente e lo affermo a costo d'esser
polemico; un conto è andare in Africa per
compiere un bel safari con mezzi economici e
di trasporto adeguati e altra cosa è partire
avventurosamente con poche migliaia di lire
guidando un piccolo mezzo meccanico di soli
48 cc. Per questo ritengo che il mio viaggio
africano assume il valore soggettivo del
simbolo umano e cioè dell'uomo posto, lui,
al centro dell'universo in maniera titanica.
Ricordo le previsioni generali prima della
partenza: tutti pensavano che un 48 cc.
dotato ovviamente di bassissima potenza mi
avrebbe quasi subito appiedato fermando il
mio sogno un pò folle. E invece ho compiuto
interamente il mio raid di circa
30.000 chilometri durato 563 giorni
collaudando così le mie idee e il mio mezzo
meccanico.
Nel febbraio
del 1966 ero pronto e il giorno 22 partii
con la foga di un novello esploratore; avevo
in tasca 40.000 lire ma mi accompagnava il
tenero affettuoso abbraccio di mia madre
che non avrei più rivista.
Il mio caro
amico Mario Tellini pochi istanti prima di
partire mi disse: "Quando tornerai ti
chiameremo TAM TAM GHIONI..."
|
Fotografia di
Foto Gallo, Brescia |
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Gino Ghioni
assieme ai genitori per i quali ha sempre
nutrito affetto e rispetto. |
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Fotografia
dello Studio Dabbrescia, Milano. |
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Ondastudios, Salò: durante una pausa di
lavorazione dei Caroselli Galbani riposano
il cantante-attore Dorelli, il figlio
Gianluca e Gino Ghioni. |
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Ritratto di
Angio Zane, Salò |
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Ondastudios, Salò: Gino Ghioni è impegnato
in un Carosello Galbani. |
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Fotografia di
Angio Zane, Salò |
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Ondastudios, Salò: si girano Caroselli
western. Da sinistra: Mario Tellini, Gino
Ghioni, Giulio Mottinelli. |
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Ritratto di
Mario Tellini, Brescia |
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Cogito
ergo sum: pensieri di re. |
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IL VIAGGIO |
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ADDIO MONDO |
Addio mondo mio, addio,
ti perdo o ti ritrovo, morendo?
Sei forse vuoto e fatuo
come gli affanosi sogni?
bello come un rosso tramonto
che pare un fuoco?
Dimmi, mondo mio, cosa sei?
Realmente cosa sei?
Gioia?
Dolore?
Ansia?
Vita?
Illusione?
Amore?
O morte?
M.T. |
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Era un giorno
del febbraio 1967; un giorno come tanti
altri, freddo e pungente; il giorno in cui
iniziava concretamente l'avventura del mio
viaggio. Partivo alla ricerca di un mondo
nuovo ma sognato e, forse, idealizzato;
partivo alla scoperta viva e vitale della
dimensione umana.
Mio unico
compagno un cane, anzi una cagna, Tori, di
pura razza Doberman; un cucciolone
affettuosissimo e sempre propenso al gioco,
come i bambini.
Alla partenza
il mio cuore scoppiava tanto ero pieno
d'emozioni e sentimenti. Anche se un pallido
sole s'era affacciato nel cielo la neve mi
accompagnò fin quasi alle soglie di Genova.
Da Genova proseguii lungo la costa ligure,
ed a Ventimiglia incontrai i fratelli Canali
che erano diretti con un fuoribordo da
esposizione alla Fiera Internazionale di
Barcellona. Gli stessi, cortesissimi, mi
invitarono a raggiungerli colà; dopo aver
attraversato la Francia e varcato i Pirenei
giunsi qualche giorno più tardi in Spagna e
vanni ricevuto oltre che dai fratelli Canali
anche dal Direttore dell'Esposizione
che mi intervistò per il giornale locale che
egli dirigeva.
Interessati dal
mio viaggio ed un pò incuriositi mi chiesero
da dove attingessi i fondi necessari.
Risposi che essendo pittore contavo sui miei
quadri; ne vollero esaminare alcuni e mi
offrirono degli aiuti sufficienti per
continuare il viaggio attraverso la Spagna
fino allo stretto di Gibilterra dove mi
imbarcai per Tangeri. Sul traghetto,
volgendo lo sguardo alle coste Europee che
si allontanavano, io sentivo dentro di me
vivissimo il senso el distacco da tutto
quello che era stato il mio ambiente; e mi
mi accostavo all'Africa con un senso di
sgomento, quasi arrivassi in un mondo nuovo
e sconosciuto. Mi avvicinavo e nel mi cuore
si agitavano mille sentimenti e mille
emozioni: sentivo che incominciava la parte
più difficile del mio viaggio; arrivai verso
le 10,30 a Tangeri. Appena sbarcato ebbi la
fortuna di imbattermi in un giovane artista
locale che aveva in corso una esposizione al
Casinò Municipale. Questo artista marocchino
era già stato in Italia e ne parlava
abbastanza bene la lingua: da lui ebbi anche
alcuni consigli sul proseguimento del
viaggio e, sempre per mezzo suo, potei
avvicinare un italiano che gestiva un
ristorante dove, verso sera, mentre cenavo,
fui avvicinato da giornalisti che mi
intervistarono. Per la notte trovai
ospitalità in una autorimessa; questo non
per mancanza di cortesia da parte dei miei
ospiti, ma perché preferivo dormire vicino
al mio mezzo; così feci pure in seguito.
Altrove trovai ricovero generoso e gradito
presso i Missionari. Anche il vitto cercai
di cavarmela sempre da solo aiutato dal
fatto che, essendo vegetariano, mi cibavo
soprattutto di frutta e verdura. Per
l'abbigliamento non trovai molte difficoltà
data la stagione; infatti il sole era caldo
mitigato però da un vento sferzante.
Dopo la sosta di Tangeri proseguii verso il
sud facendo delle brevi escursioni
nell'interno marocchino. Le tappe principali
furono Casablanca e Safi. Fui sempre seguito
simpaticamente dalla stampa del luogo e tra
i numerosi giornali locali cito
particolarmente "Le Petit Marocain" che per
la lunghezza della mia barba mi soprannominò
affettuosamente "Garibaldi". Durante il mio
soggiorno tenni delle mostre con un discreto
successo il che mi permise di raggranellare
mezzi finanziari per il proseguimento del
viaggio.
Sino
dall'inizio del viaggio trovai strade non
sempre in buone condizioni; alle volte erano
delle vere e proprie piste. Il 15 aprile
giunsi a Dakar nel Senegal e qui ebbi i
primi contatti con l'Africa nera. Fui
amabilmente accolto dai frati a St. Joseph
de Medina i quali mi presentarono al
giornale locale "Dakar Matin" per l'ormai
tradizionale intervista. Tengo qui a
sottolineare la sempre cortese ospitalità
ricevuta dai Missionari che mi furono
prodighi anche di preziosi consigli per i
miei successivi spostamenti. Anche le
autorità diplomatiche italiane, dopo aver
superato un'iniziale diffidenza dovuta forse
al mio abbigliamento o al mio insolito mezzo
di locomozione ed anche perché non sempre
riuscivano a capire subito il motivo ideale
che mi spingeva ad intraprendere questo
viaggio, mi diedero aiuto.
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Fotografia di
Gino Ghioni |
Un
caratteristico villaggio Africano. |
A Dakar mi
furono particolarmente d'aiuto il
Cancelliere dell' Ambasciata Celidoni ed il
Padre Missionario Don Luigi; mi è grata
l'occasione per inviare loro un memore
saluto. Sempre a Dakar esposi una ventina di
mie opere al Circolo Culturale Italiano; una
buona parte vennero acquistate e questo fu
per me nuovo ossigeno. Nella stessa città
fui ricevuto dal Nunzio Apostolico. Fui pure
ospitato per ben 45 giorni dal Signor
Giovanni Messali, un bresciano ottimo
meccanico colà residente che mi rimise in
sesto il motorino bisognoso dopo tanta
strada di una revisione. Durante la mia
permanenza in quella bellissima città
chiamata dai francesi la "Seconda Parigi"
ebbi modo di osservare anche la gente del
luogo che aveva un portamento
straordinariamente bello, tale da suscitare
la viva ammirazione da parte di un artista.
Oltre che
essere notevoli per la loro bellezza fisica,
i Senegalesi sono veramente amichevoli e
sinceramente ospitali e ciò mi portò a
frequentarli assiduamente; mi legai
particolarmente con vecchi e bambini. Mi
trovai spesso con studenti e giornalisti con
i quali mi piaceva discutere animatamente e
appassionatamente di vari problemi e,
attraverso questi incontri, sentii la loro
viva ammirazione per l'Italia e gli
italiani, in modo particolare per quelli là
residenti che stavano lavorando in numerose
imprese per conto del governo Senegalese.
Sono particolarmente grato a tutti quegli
amici Senegalesi per merito dei quali ho
potuto meglio comprendere la loro vita, le
loro speranze ed i loro ideali. Ho anche
riportato, come mia impressione, che
l'africano ha ancora bisogno dell'aiuto
dell'uomo bianco e sopratutto dell'italiano;
infatti durante questa mia permanenza in
Africa, mi sono convinto che i nostri
compatrioti possono emergere in quasi tutte
le attività e vengono accettati e valutati
per la loro operosità e ingegnosità.
Attraverso
successive varie tappe raggiunsi la Gambia
da dove mi imbarcai per Freetown nella
Sierra Leone. Non sempre il mio viaggio si
svolgeva in maniera tranquilla; incontri,
anche avventure spiacevoli, come quella che
mi accadde mentre dal Senegal raggiungevo la
Gambia. Durante l'attraversamento di una
zona boscosa fui assalito da un branco di
scimmie che si buttarono sul mio motorino
infuriate; ebbi un istante di terrore; ma
Tori, il mio cane, si gettò come un fulmine
addosso ai quadrumani ed ingaggiò con essi
un furioso combattimento; lo scontro tra il
Doberman e le scimmie fu tremendo e appena
si dissipò il polverone vidi che Tori ne
aveva abbattute quattro o cinque e tornava
verso di me trascinando un cadavere. Non fu
solo questa l'occasione in cui Tori si
comportò bravamente. Durante
l'attraversamento dei villaggi mi accorsi di
suscitare l'attenzione degli abitanti, il
più delle volte per pura curiosità; in una
zona, mi sia concesso di non nominarla,
durante il mio passaggio fra le case scoprii
che il comportamento degli abitanti non era
amichevole e, in breve, mi trovai circondato
da una massa di gente che mi toccava e
scuoteva. Capii chiaramente che la loro
intenzione era quella di impossessarsi delle
mie cose e del furgoncino; così decisi di
sguinzagliare il cane il quale ringhiando
ferocemente, tenne a distanza di sicurezza
la folla e potei pertanto riprendere la
marcia. Stupito per il fatto che bastasse un
cane a tenere lontano tutta quella gente,
per di più armata, seppi, in seguito, che
l'africano ha una paura ancestrale del cane
dell'uomo bianco soprattutto se del tutto
nero come lo era Tori che in questo
frangente si meritò l'appellativo di
"Fulmine nero". Altre volte, la simpatica
bestia, mi giocò dei tiri birboni, come
quella volta in cui approfittando di una mia
distrazione si mangiò un chilo di carote che
avrebbero dovuto essere la mia cena.
Che animale
simpatico! Ne conserverò sempre un caro
ricordo. Tori mi fu sempre fedele compagna
di viaggi; a volte compiva lunghi tratti di
corsa accanto al mio motofurgone e le uniche
distrazioni che si prendeva durante le
sue.... passeggiate erano delle scorribande
tra i greggi incontrati lungo il cammino. Mi
fu indispensabile nei momenti più faticosi
del Raid; fin dalla traversata della Spagna
quando incontrai le prime faticose salite mi
fu utile per spingere e tirare il motorino.
Purtroppo fui costretto a lasciarla in buone
mani, all'impresario bergamasco Santo
Savoldelli sposato ad una bresciana.
Proseguendo il
mio intinerario arrivai via mare, dalla
Gambia a Freetown nella Sierra Leone, dove
rimasi per più di un mese lavorando al
restauro di una vetrata in una Chiesa
Metodista.
Constatai come
a Freetown non mancasse il lavoro per un
artista; infatti avrei potuto lavorare per
almeno tre o quattro anni, ma seguendo il
mio impulso proseguii il viaggio. In parte
costeggiando il continente con imbarcazioni
e in parte proseguendo la marcia su strada,
raggiunsi il Sudafrica e più precisamente
arrivai a Città del Capo dove rimasi per
quattro o cinque mesi di seguito lavorando
assiduamente. A questo punto mi sembra
doveroso ricordare il buon comportamento del
mio Gerosa 48 cc. che superò brillantemente
migliaia di chilometri su strade o piste
d'ogni genere; l'unico inconveniente che
dovetti lamentare fu la rottura delle
sospensioni a cui ovviai con mezzi di
fortuna inserendo fra i canotti un pezzo di
legno e successivamente una barra di ferro
alla quale avevo precedentemente appeso a mò
di gran pavese, le bandiere dei Paesi fino
ad allora attraversati. La distanza
giornaliera che riuscivo a coprire era di
circa 100 chilometri soltanto e ciò
dipendeva in modo essenziale dallo stato
disastroso delle strade.
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Fotografia di
Pincus David, Johannesberg |
SUDAFRICA: a Cape Town Rocky Marciano, il
compianto pugile, vuol posare in sella al
motorino di Gino Ghioni. |
Durante il mio
soggiorno in Sudafrica fui anche a
Johannesburg e Pretoria. In queste città
dipinsi numerosi quadri per i locali Clubs
italiani e così riuscii a guadagnare una
somma sufficiente per il resto del Raid.
Incontrai anche il Professor Vincenzo
Sagnelli di Napoli che insegnava Belle Arti
alla locale Università e che si era fatto un
nome soprattutto come mosaicista. Egli
mi volle con se a Durban per una ventina di
giorni e mi propose di rimanere come suo
aiuto, offerta alla quale dovetti a
malincuore rinunciare. Così il tempo
trascorse veloce e giunsero le feste
natalizie che trascorsi a Città del Capo
ospite di un simpatico gruppo di siciliani.
Questi ultimi mi vollero avere come invitato
d'onore al loro pranzo di Natale durante il
quale fu servito il nostrano cocomero o
anguria come avvenimento veramente
eccezionale.
Malgrado tutte
le gentilezze ed amabilità usatemi non
riuscii a dissipare la malinconia della
lontananza dalla mia casa, aggravata anche
dal fatto che da lungo tempo non avevo
notizie dei miei genitori. Il Sudafrica mi
lasciò un'impressione famigliare e mi sembrò
quasi una nuova Europa ; forse fu per questo
che mi sentii al meglio delle mie
possibilità pittoriche e mi dedicai ad
illustrare particolarmente gli aspetti
storici di questa nazione.
Venni
ricompensato perché parecchie di queste
opere furono acquistate dai Sudafricani
stessi che riconoscevano in esse le passate
imprese dei loro avi. Nel periodo della mia
permanenza in Sudafrica accadde un'
avvenimento che si può ben dire commosse il
mondo intero: il primo trapianto cardiaco da
uomo a uomo per opera del Prof. Barnard.
Tutta la Nazione Sudafricana esultò per
questa prestigiosa impresa scientifica ed io
pure ne rimasi particolarmente commosso e
decisi di dedicare a questo avvenimento
storico una mia "tela".
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SUDAFRICA: la
prima pagina del quotidiano "The Cape Argus"
edito a Cape Town riporta notizie sul
trapianto effettuato dal professor Barnard.
In quel periodo Gino Ghioni era a Cape Town
dove ha eseguito il ritratto del celebre
chirurgo. |
Incontrai in
quei giorni ex prigionieri italiani che
erano stat internati in un campo detto "Zona
senz'acqua" ed in particolare mi trovai con
il bresciano Aldo Soldi. Mediante il suo
aiuto visitai parecchi Cimiteri dei nostri
Soldati ed altre zone legate alle loro
tristi vicissitudini. Questi italiani
portati colà da vicende belliche si sono
ormai, dopo tanti anni di laboriosa
permanenza, perfettamente integrati col
resto della popolazione e mediante il loro
lavoro universalmente apprezzato continuano
a tenere alto l'onore ed il prestigio della
Patria lontana ma mai dimentica.
Continuando la
mia peregrinazione, lasciai Pretoria ed
arrivai a Salisbury, capitale della Rhodesia
dove venni intervistato dalla locale
televisione. Quindi conobbi un simpatico
ragazzo romano che, dopo aver lavorato alla
costruzione della famosa diga di Kariba,
aveva aperto un ristorante tipicamente
italiano. Se mi fossi fermato in Rhodesia,
per me sarebbe stata una miniera d'oro; le
mie quotazioni raggiunsero infatti, con
estrema facilità, le 500.000 lire.
Proseguendo arrivai nella colonia Portoghese
del Mozambico quindi, attraverso la
Tanzania, arrivai nel Kenia. La mia
intenzione sarebbe stata quella di arrivare
in Etiopia, ma ne fui impedito dalle locali
autorità; perciò da Mombasa mi imbarcai e,
attraversato l'oceano Indiano, sbarcai
sempre seguito dal mio fido motorino a
Karacki nel Pakistan. Arrivai,
finanziariamente parlando quasi al verde,
infatti le mie sostanze ammontavano a solo
10 dollari. Quando giunsi imperversava in
quella parte del Pakistan una epidemie e le
autorità pakistane mi imposero di
raggiungere immediatamente la Persia per via
aerea o di ritornare indietro.
Fortunatamente fui aiutato dal Dott.
Pierluigi Monteverdi, titolare della locale
concessionaria Fiat, il quale si prodigò con
tutti i mezzi per farmi ottenere il permesso
di continuare il mio cammino attraverso
quella nazione; inoltre, comperando due miei
dipinti, rinsanguòle mie esauste tasche.
Attraversai il Pakistan toccando Lahore,
raggiunsi Rawalpindi e nuovamente mi
imbattei in un altro cortese funzionario
della Fiat che mi diede ottimi consigli per
valicare il Kiberpass. Questa zona infatti
gode di un regime di semi-autonomia ed è
abitata da focose tribù montanare i cui
membri hanno abitudine di circolare armati
fino ai denti, sia pure vecchi fucili e
pistole di superato valore bellico. Non
sempre questa gente è animata da sentimenti
amichevoli verso gli stranieri, ma il
sottoscritto potè cavarsela con una sommaria
perquisizione personale che finì anzi in una
burla. Potei quindi raggiungere
l'Afganistan. Percorrendo circa 60
chilometri su uno splendido altipiano
raggiunsi Kabul, la capitale, che è posta a
quasi 2000 m. d'altitudine. Rimasi
affascinato dallo splendore delle imponenti
cime montagnose che la circondavano ed anche
fui bene impressionato dagli abitanti,
semplici, ma anche onesti e gentili. al mio
arrivo nella capitale Afgana ebbi un
incontro con il sacerdote Don Angelo che mi
indirizzò all'Ambasciata Italiana dove fui
accolto in modo assai cortese dal Console
Bavicchi e dall'Ambasciatore Di Sanfelice.
Essi, constatato che il mio abbigliamento,
dopo tanto cammino e tante avventure, era
ridotto ormai in condizioni assai misere, si
premurarono di fornirmi indumenti nuovi e
più presentabili cosicchè uscii dalla nostra
Sede Diplomatica nuovo.... di zecca. Una
sera i Diplomatici Italiani mi invitarono ad
un ricevimento e, giunto in un palazzo dove
in una sala vidi numerosi membri delle altre
ambasciate straniere ed alte autorità
locali, mi colpì particolarmente un
personaggio che vidi al centro
dell'attenzione generale e seppi da un
italiano, che quell'uomo dalla figura
imponente e dall'espressione simpatica, era
niente di meno che il Re dell'Afganistan
Mohammed Zahir Shah.
Ad un certo
momento, durante la serata, sempre dai miei
amici italiani fui presentato al Generale
Alì. Questo Generale era tenuto in gran
stima e considerazione dal Re; dopo una
cordiale conversazione, il generale mi
propose a bruciapelo, di eseguire un
ritratto di Sua Maestà; rimasi stupito e
riconoscente per l'alto onore fattomi,
accettai e il Generale mi condusse alla
presenza del Re. Egli fu molto cortese ed
affabile con me e mi intrattenne chiedendomi
dettagli e ragguagli sul mio viaggio,
domandandomi come avessi fatto a raggiungere
il suo regno. Quindi mi ringraziò
anticipatamente per l'omaggio artistico che
mi ripromettevo di presentargli. Fu così che
mi misi al lavoro approfittando di alcune
fotografie del Re che il generale Alì mi
aveva messo a disposizione. Pochi giorni
prima di lasciare l'Afganistan terminai il
ritratto del Re e, sempre tramite il cortese
Generale lo feci recapitare al Re. Sua
Maestà mi ringraziò con una lettera
autografata contenente oltre a lusinghiere
espressioni sul lavoro, anche un invito per
un soggiorno nell'Afganistan in qualità di
suo ospite.
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Il Re
dell'Afganistan
Mohammed Zahir Shah |
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AFGHANISTAN:
attestato di amicizia e di stima rilasciato
a Kabul dal Generale Mourad Ali Nasserie. |
Avrei
intenzione, nel futuro, di accettare questo
onorifico invito per girare dei documentari
artistici sulle zone più interessanti del
regno.
Lasciai questo
ospitale paese e attraverso Herat raggiunsi
la Persia. Ora che il viaggio volgeva verso
la parte finale avevo fretta, volevo
bruciare le tappe, avvicinarmi all'Italia,
alla mia città, ai miei genitori. Raggiunsi
così Teheran capitale della Persia. Qui
incontrai con mio piacere un famoso artista
locale, Lase Tabatai, il quale godeva di
grande prestigio in patria.
Questo artista
aveva soggiornato a lungo per studio in
Europa rimanendo affascinato in modo
particolare dall'arte italiana. Egli fu
molto interessato al mio progetto
riguardante l'Associazione A.I.D.A. e
promise di mantenere i contatti con me. Dopo
un breve soggiorno persiano, durante il
quale dipinsi qualche quadro, raggiunsi il
confine con l'Irak. A Kerman offrii
ospitalità, sul tettuccio del motorino, ad
un ragazzo giramondo "beat" e attraverso una
tappa veramente spaventosa raggiunsi Bagdad.
Ho detto spaventosa perchè in quelle regioni
ed in quella stagione, l'estate, il caldo
raggiungeva temperature altissime. Il mio
occasionale compagno rimase costantemente
avviluppato in una coperta bagnata mentre io
soffrivo le pene dell'inferno; la pelle mi
si screpolava tutta sotto i raggi del sole
infuocato e la guida del mio mezzo era
particolarmente penosa, dato che le parti
metalliche del "Gerosa" scottavano
maledettamente; tutto ciò su una strada
deserta ai lati della quale si vedevano i
resti di numerosi animali completamente
disidratati. Come Dio volle, giunsi infine a
Bagdad. Qui rimasi alcuni giorni ospite del
locale Circolo Italiano. Fui aiutato
cordialmente dal Nostro Ambasciatore, ed io
cercai di sdebitarmi offrendogli qualche mio
dipinto. Percorsi velocemente Giordania,
Libano, Siria, Turchia, Grecia ed Jugoslavia
giungendo finalmente al confine
Jugo-Italiano di Gorizia. Rientrando in
Italia il mio solo pensiero fu quello di
bruciare le tappe per ricongiungermi con i
genitori di cui sentivo moltissimo la
mancanza e bramavo riabbracciare. Feci tappa
a Pozzo di Codroipo, un paesino friulano,
ospite dei miei zii. Sostai due giorni per
riposarmi e per me furono due giorni
d'intensa felicità. Ero felice d'essere di
nuovo in Italia, della mia impresa, di me
stesso, di tutto in una parola. Ripartii e,
viaggiando anche nelle ore notturne, giunsi
a Verona ove feci un riposino di qualche ora
e poi via per l'ultima tappa!
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Fotografia di
Gino Ghioni |
IRAQ:
fedeli maomettani in preghiera a Aghdad |
L'ansia di
rivedere i miei cari non mi dava tregua e
sembrava si trasmettesse anche sul mio
"motorino". La strada era percorsa il più
velocemente possibile, compatibilmente al
mezzo meccanico, finchè giunsi nelle
vicinanze di casa. Vidi un amico che mi fece
cenno di fermarmi, ma io tutto preso dalla
gioia e commozione non gli diedi retta.
Giunsi sulla porta di casa, bussai una, due
volte, ma nessuno si affacciò al balcone;
riprovai freneticamente altre volte ma la
porta rimase sempre chiusa.
Ad un tratto mi
sentii chiamare alle spalle dal proprietario
di un'osteria posta difronte a casa mia il
quale mi disse: "Luigi, ma lei non sa niente
dei suoi?" "No" risposi "dove sono
andati ad abitare?". Allora l'oste, un pò
tergiversando, mi indirizzò presso una
comune conoscente dicendo che quella donna
mi avrebbe dato notizie più precise; corsi
immediatamente da lei. Appena la vidi le
domandai che cosa fosse successo; la donna,
capendo che da molto tempo non avevo
ricevuto notizie da casa, mi disse
angosciata che entrambi i miei genitori
erano morti. Rimasi a questa notizia,
dapprima quasi incapace di comprenderla; poi
mi misi con la testa appoggiata ad un muro e
piansi sconsolatamente. Seppi, poco dopo,
che solo mia madre era defunta mentre mio
padre si trovava gravemente infermo all'Ospedale.Inforcai
ancora una volta il "Gerosa" e raggiunsi il
Cimitero dove riposava la Mamma. Sulla sua
tomba deposi piangendo qualche ricordo del
mio viaggio un Crocifisso che un monaco
m'aveva donato in Libano ed una bandiera
tricolore datami dagli Italiani in Sudafrica
sulla quale vi era scritto "Per la mia
Patria" ed "A mia Madre"". Poi andai a
trovare mio padre; purtroppo anchegli,
qualche tempo dopo morì.
GIOVANNI DI
MARZINIS
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Fotografia di
Alabiso |
BRESCIA:
Gino Ghioni appena è rientrato e amici gli
sono attorno. |
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Fotografia di
Alabiso |
S.BARTOLOMEO: Gino Ghioni inginocchiato
sulla tomba della madre morta durante il suo
lungo viaggio. |
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Fotografia di
Giulio Mottinelli, Gussago. |
DI
MARZINIS chiede a Gino Ghioni particolari
della sua avventura. |
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www.ginoghioni.com
Sito Ufficiale Gino Ghioni CF: GHNGLG34E07L407C - tel. +39 347
9007573
ore 9,00-21,00 |
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